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  • Prova articolo


    Dopo 50 anni esatti di distanza da quella primavera del 1963 Claudia Cardinale è ritornata ad Anghiari che la vide interprete nelle scene de "La ragazza di Bube", il film di Luigi Comencini che tra l'altro le valse il prestigioso Nastro d'Argento.

     La nota attrice sempre splendida è arrivata in Valtiberina già dalla sera di venerdì alloggiando in un albergo di Sansepolcro e stamani ad Anghiari è stata ricevuta dal Sindaco La Ferla assieme alla giunta, ai consiglieri e alla gente accorsa per accoglierla.
  • Mugnai informa / 118 in primo piano


    Cari Amici, la Cassazione si è pronunciata confermando la condanna per Silvio Berlusconi, a dimostrazione dell’accanimento giudiziario che da vent’anni si porta avanti contro l’ex premier da parte di una sinistra che da decenni cerca di battere gli avversari – da loro considerati nemici – per via giudiziaria. Lo fece a suo tempo con i leader non comunisti della Prima Repubblica, riprova a farlo adesso con Berlusconi. Ma la differenza c’è e pesa: negli anni ’90 i leader del pentapartito non avevano più consenso né seguito, mentre per Berlusconi non è davvero così. Tutt’altro. Lo si è visto domenica scorsa, il 4 agosto, quando nonostante il caldo opprimente e le 36 ore appena di organizzazione in tanti siamo stati a manifestare sostegno al Cavaliere a Roma, davanti a Palazzo Grazioli dove Berlusconi, sul palco come nel video-messaggio diffuso a poche ore dalla lettura del dispositivo, ha dato prova una volta di più della sua straordinaria forza d’animo. E’ segno che un pezzo importante d’Italia non ci sta. Non ci possono battere politicamente, e la sinistra lo sa bene, ma neppure a colpi di sentenze politiche.

    Ma veniamo alle cose di Toscana, dove la sanità si dibatte tra fine di un modello e incapacità di riformare con regole chiare. Quanto al modello beh, che la sanità toscana fosse tale come Rossi voleva far credere noi non l’abbiamo mai bevuta. Ora però l’ha detto anche il ministero, e alla giunta regionale altro non è rimasto che brigare sotto traccia e gridare allo scandalo senza opporre, però, alcun dato credibile. Poi c’è la questione riforme, con il 118 in primo piano. La riduzione a 3 delle centrali toscane doveva esser cosa fatta per gennaio. Sei mesi dopo quella scadenza, ancora si naviga a vista. Sì perché la Regione si era data delle regole secondo le quali le tre sedi sarebbero ricadute su Arezzo, Pistoia e Viareggio. Ma pochi giorni fa era di nuovo tutto scompaginato: dall’assessorato si parlava di puntare sulle sedi dei tre policlinici universitari ovvero Firenze, Siena e Pisa. Ovvio: è scoppiata la rivolta. Intanto a Massa si taglia ancora. Fortuna che almeno sono arrivati i soldi del governo per saldare almeno in parte i debiti coi fornitori della sanità. Non basta, ma è qualcosa.

    * Con la presente, da oggi, questo blog renderà pubbliche le news letter  del consigliere regionale Stefano Mugnai
  • La riforma Fornero


    La cd. riforma Fornero, è definitivamente legge dallo scorso 28 giugno, giorno della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Si tratta di un complesso di interventi che vanno sotto il norme di “ disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore” e intendono realizzare un mercato del lavoro che sia al tempo stesso inclusivo e dinamico, e che sia in grado di contribuire alla creazione di occupazione, di “quantità e qualità”. 

    Questo significa altresì - come del resto avevo evidenziato in un precedente ariticolo, sempre su queste colonne e a proposito di ipotetici scenari di riforma - , che l’offerta di lavoro in futuro , per rinnovarsi , dovrà tradursi - necessariamente - in un sistema con meno regole, ancorchè puntuali, affinchè il nostro mercato ritorni - sempre che lo sia stato - competitivo e appetibile verso gli investimenti, in particolari quelli stranieri. Cosa che del resto ci ha chiesto la stessa Europa con una serie di richiami a cui ‘ la Ministro Fornero’ ha cercato , timidamente, di dare risposta . Essenzialmente la riforma si sviluppa su quattro direttrici : nella prima, nell’ambito delle tipologie contrattuali esistenti , si mira a rendere, da un lato, più stabile e prioritario il lavoro subordinato a tempo indeterminato attraverso una serie di limiti e di pesi tendenti a rendere maggiormente onerosi i ccdd. contratti precarizzanti, quali quelli a tempo. E dall’altra parte, si eleva a percorso elettivo , l’apprendistato quale modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Nella seconda direttrice, quella a proposito di “flessibilità in uscita” , c’è la parte - a mio giudizio - più importante e maggiormente significativa dell’intera riforma: e non tanto per le innovazioni successe a tale intervento, poche e di poco conto, ma per il cambiamento culturale insito nella riforma stessa che ha novellato l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, - quello per interci sul ” diritto alla reintegrazione del posto di lavoro” - che fino a poco tempo fa era ritenuto - a torto o ragione - per molti un vero e proprio tabù. In quest’ordine di idee, la riforma Fornero ha avuto almeno un merito: quello di aver contribuito a cambiare il vocabolario e il linguaggio degli italiani.Così dalla novella dell’art.18 escono di scena le parole “reintragrazione e posto di lavoro “ per subentrarvi la più generica formula di principio “ tutela del lavoro in caso di illegittimo licenziamento”. Solo dal nome si evince che non è più il “posto di lavoro” che la legge aspira a tutelare, ma il lavoro inteso quale “ diritto contentibile e inalienabile al contempo” come del resto ha affermato con una celebre esternazione: “il lavoro non è un diritto”, la stessa Ministro Elsa Fornero a pochi giorni dall’approvazione in Parlamento della stessa riforma, in un’intervista rilasciata al prestigioso “Wall Street Journal” . Entrando nel merito della questione dei licenziamenti individuali, si può con una certa tranquillità dire che la presente riforma non ha smantellato, come qualcheduno pensa, le tutele dei lavoratori, anzi in taluni casi sono state addirittura ampliate. 

    Con ciò alludo alla cosidetta “tutela reale” o di “reintegrazione del posto di lavoro” che anche grazie alle modifiche apportate all’art. 18 rimane “ una forte e ineludibile garanzia a favore del lavoratore a fronte di licenziamenti ingiustificati.” In particolare è stata tipizzata e rinforzata la formula “ licenziamento per motivi discriminatori o ritorsivi” che ha ottenuto la massima tutela offerta dal sistema attraverso “la declaratoria di nullità da parte del giudice, con sentenza che ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalemente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”. In siffatta ipotesi, il giudice condannerà altresì il “datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito ( aliunde perceptum) nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative” . E comunque l’indennità, in tal caso non può essere inferiore a cinque mensilità. Sempre sulla stessa scia, il giudice potrà condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del posto di lavoro di quel lavoratore che a fronte di quelle violazioni di maggior gravità si accerti l’insussistenza , o la manifesta insussistenza del fatto contestato che stato alla base del motivo o della causa di licenziamento, sia essa soggettiva e cioè legata alla condotta del singolo lavoratore sia essa oggettiva legata a ragioni di natura tecnica, organizzativa e produttiva. In questo caso, ad un siffatto precetto si aggiunge poi anche la condanna ad un’indennità risarcitoria equipollente - nei criteri di quantificazione sul dovuto - a quella del “licenziamento discrimitario” , ma diversa nella corresponsione degli stessi, e cioè nella misura che non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Nell’uno e nell’altro caso, licenziamento discriminatorio da una parte e per ingiusitificato motivo o ingiusta causa grave dall’altra, il datore di lavoro è comunque tenuto, al di là della misura dell’indennità risarcitoria corrisposta, a versare, per il medesimo periodo che il lavoratore è rimasto lontano dal lavoro, sia i contributi previdenziali che quelli assistenziali. Si inserisce in questo quadro, sostanzialmente immutato rispetto alla previgente disciplina dell’art 18, la possibiltà per i licenziamenti cd. di minor gravità ( nelle altre ipotesi, cosi definti dal testo di legge) in relazione all’ingiustificato motivo o ingiusta causa delle motivazioni accertate davanti al giudice siano esse di natura oggettiva che soggettiva, la possibilità di corrispondere in luogo della tutela alla reintegrazione del posto di lavoro un’indennità risarcitoria nella misura - questa volta superiore a quelle dell’ipotesi precenti richiamate - di un minimo di dodici mensilità ad un massimo di ventiquattro; modulabili a discrezione del giudice in base a determinati criteri a cui la legge rimanda. In sostanza per esemplificare ancora, la legge divide le ipotesi di licenziamento tra quelle a tutela cd. forte, con cui obbliga il datore a reinserire il lavoratore al proprio posto, da quelle - la novità - a tutela cd. debole, che risconosce - diversamente - la sola corresponsione dell’indennità risarcitoria a fronte dell’illegittimità accertata del licenziamento. Infine, con la terza direttrice di riforma si introduce uno specifico rito, sulla falsa riga di quello cautelare, al fine di creare una corsia preferenziale per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti. Il tutto poi va confrontato, con una riforma di più ampio respiro, anch’essa all’interno della medesima legge ( quarta direttrice) che attraverso l’Aspi ( assicurazione sociale per l’impiego) renderà più efficiente, equo e coerente l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone. In sostanza, da oggi, le imprese dovranno “farsi carico con un aggravio di costi per le stesse” di una forma di assicurazione dove confluirà in un unico strumento, l’Aspi appunto, l’indennità di mobilità e quella di disoccupazione.

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